Le immagini che ci arrivano dalla finestra aperta al mondo sulla nostra parete dallo schermo del televisore non sono firmate da un famoso regista, ma catturate spesso di nascosto usando un telefonino.
Tuttavia sono molto più tragiche di qualsiasi film catastrofico mai diffuso nelle sale cinematografiche o nei circuiti televisivi.
Ma forse alla maggior parte degli spettatori, sia giovani che adulti, si richiede un notevole sforzo di concentrazione per immedesimarsi e cogliere la differenza fra l'origine dei due tipi di immagini, gli "effetti speciali" incredibilmente realistici, e le riprese di scene di vita attuale.
Chi scrive, invece, anche soltanto attraverso i suoni che riceve dal teatro di guerra e dai luoghi di distruzione, viene ripiombato istantaneamente dalla memoria a lungo termine a rivivere le esperienze vissute quando aveva otto anni; immagini e rumori che in tutti questi decenni non si sono mai riaffacciati a mordere lo stomaco e a far riaffiorare il sudore gelido della paura, sensazioni che si credevano sepolte per sempre nel provvidenziale oblio del tempo.
E invece, ecco, come se a quei tempi fossero esistiti apparecchi digitali, riemergere dalle sinapsi più profonde le registrazioni ad alta fedeltà e ad alta definizione.
Ecco il silenzio irreale in cui cerca di nascondersi una città dopo che si è spento l'eco dell'ultima sirena dell'allarme aereo, con le nostre orecchie spasmodicamente tese a cercare di cogliere il primo ronzio sordo e intermittente dei motori di centinaia di "fortezze volanti", accompagnandolo poi con estrema concentrazione nella sua inesorabile crescita, ma sperando di cogliere il momento in cui inizia a diminuire in intensità e ad abbassarsi di frequenza, segno che la rotta della formazione non passa sopra di noi.
Ma poi c'è una volta in cui il crescendo non si attenua e anzi diventa un rombo assordante che si percepisce anche come vibrazione dentro di noi, mentre il compatto tessuto sonoro comincia ad essere traforato dalle raffiche tamburellanti della contraerea di batterie sempre più vicine, fino a esplodere nel fragore di quella installata sul tetto del palazzo accanto al nostro. E a quel punto sappiamo che dobbiamo sintonizzare l'udito su una frequenza ben più acuta, che buca incredibilmente come uno spillo il frastuono assordante, crescendo di intensità: e ciascun sibilo è una bomba che sta cadendo dal cielo verso una destinazione casuale .
E ci auguriamo di poter udire il boato che, dalla sua forza e dalla maggiore o minore compressione dell'aria nel nostro stomaco, ci farà capire a che distanza è caduta. Già, perché se non sentissimo il boato, ciò significherebbe per noi la fine di tutto.
Meditate gente, perché mentre state leggendo ci sono milioni di persone come voi, come i vostri genitori, come i vostri figli, che si trovano nella situazione di quel bambino che aveva otto anni il 19 luglio 1943 e non si può sapere se è o no un vantaggio il fatto che se a colpirli non sarà una bomba, ma un missile, non avranno neppure il tempo di avere paura e di recitare l'ultima preghiera.
Giulio Nardone
Presidente nazionale Associazione Disabili Visivi